
Per gli immigranti i principi morali, fino ad oggi, sono stati: “Non si possono non soccorrere i naviganti in difficoltà” (legge del mare); “non si possono respingere gli immigranti perché, essendo senza documenti, non si saprebbe a quale Paese avviarli”; “non si possono respingere gli immigranti perché alcuni di loro richiedono asilo politico, ai sensi della Costituzione”; “non si possono respingere gli immigranti perché, anche se non sfuggono ad una guerra o a un’oppressione politica, sono emigranti come noi lo fummo agli inizi del secolo scorso”; infine, “non si possono respingere gli immigranti perché comunque qualche migliaio di persone non creerà un serio problema in Italia”. E ci sono ancora altre motivazioni tali che, chi si oppone risolutamente (la Lega Nord, per esempio), passa per xenofobo, incivile e senza cuore. Per immorale, insomma.
Dinanzi ad un barcone che ha rischiato di affondare, le persone buone si commuovono; ma la crisi libica ha cambiato la situazione e dinanzi a cento barconi anche i buoni cambiano atteggiamento: “Avranno dei problemi, ma non possiamo risolverli noi”. Fino ad ora si doveva attivare la leva per salvare un paio di operai uccidendone un altro, ora invece quelli da salvare siamo noi.
Il nuovo stato d’animo è certificato dal Corriere della Sera di oggi, sul quale fa effetto leggere: “Il piano: respingimenti di massa”. Sono cose che fino a poco tempo fa tutti (e ancora oggi, irritualmente, il Presidente della Repubblica) avrebbero preso per fantasie vagamente immorali. Invece, quando l’obbedienza ai principi diviene troppo costosa, si cambiano i principi.
Il problema ricorda un analogo problema scolastico. Un ragazzino fa pena - perché poco intelligente, perché ha una famiglia problematica, perché è malato, perché spende molto del suo tempo per aiutare la famiglia e non può studiare - e in consiglio i professori buoni propongono di aiutarlo. Cioè di promuoverlo. Il professore cattivo chiede: “Dovremmo promuovere tutti gli alunni il cui profitto è insufficiente per una ragione che ci commuove? E se sì, il giorno in cui, a forza di promozioni regalate, questo giovane divenisse un medico, vi fareste curare da lui?”
Ecco un’argomentazione irresistibile, per chi abbia una mentalità logica. Ma i buoni, in concreto, risponderebbero: “Ma lo bocceranno all’università, eventualmente” (i cattivi sono sempre gli altri). “E poi chi dice che vorrà divenire un medico?” (come se fosse lecito essere pessimi ingegneri o pessimi avvocati). “E comunque ci vorranno ancora tanti anni” (come se il problema, in seguito, fosse diverso)… Essendo pronti tuttavia, se sentono dire di un medico che non è bravo ad andare da un altro. Quand’anche quello fosse un uomo buono che deve mantenere una famiglia.
La logica non è lo strumento adatto per convincere il prossimo. Nel caso degli immigranti clandestini, è solo il loro numero che potrebbe farlo. Diversamente neppure il buon Presidente Giorgio Napolitano, andando ad Ellis Island, si ricorderà mai che gli emigranti italiani negli Stati Uniti non erano clandestini. Erano al contrario in possesso di regolari documenti; subivano una visita medica, per essere ammessi nel nuovo Paese e a volte, dopo settimane di viaggio in mare, erano respinti verso l’Italia.
Gianni Pardo
IL VOSTRO UFFICIO STAMPA
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