giovedì

Cattedre rosse e palinsesti truccati: l’Italia occupata dalla sinistra.


C’è un pezzo d’Italia che non si elegge nelle urne, non si vota nei parlamenti, non passa mai dalle piazze. Vive altrove: nelle università e negli studi televisivi. 

È lì che, tra gli anni ’90 e i primi 2000, la sinistra italiana ha esercitato il suo vero potere: non nel Governo, ma nel plasmare il discorso pubblico. 

Una macchina lenta, metodica, invisibile ai più. Ma oggi, guardando indietro, i tasselli si compongono: cattedre universitarie distribuite come bottino, palinsesti televisivi lottizzati con chirurgia politica, concorsi e nomine che hanno garantito per decenni una filiera ideologica rossa. 

L’università come roccaforte

I governi di centrosinistra - Prodi nel 1996, D’Alema nel 1998, Amato nel 2000 - non hanno inventato i baroni universitari. 
Ma hanno saputo usare i baronati come strumento politico. 

Le facoltà di filosofia, sociologia, scienze politiche, storia contemporanea erano già il cuore pulsante della sinistra accademica. Negli anni a cavallo del 2000 diventano fortezze ideologiche blindate. 

I concorsi, ufficialmente pubblici, erano nella sostanza ritagliati su misura: bandi scritti con requisiti così specifici da coincidere con il curriculum del candidato “giusto”. 

Dentro, entrava chi apparteneva alla rete; fuori, restava chi non aveva santi in paradiso. 

Il risultato? Generazioni di docenti formati a immagine e somiglianza di un pensiero unico: l’anti-liberismo di facciata, la fascinazione per Gramsci, il mito del terzomondismo. 

In cattedra finivano gli allievi dei maestri della sinistra universitaria, perpetuando il ciclo. 

La televisione, fabbrica del consenso

Parallelamente, un’altra trincea veniva occupata: la RAI. Con i governi dell’Ulivo (1996-2001), la lottizzazione culturale diventò scienza. Le direzioni di rete, i palinsesti di Rai3, i talk show politici: ogni casella aveva il suo uomo “giusto”. 
Dal 2006 al 2008, con Prodi II, il meccanismo riprese fiato: nuovi conduttori, giornalisti e opinionisti dichiaratamente progressisti conquistarono spazi in prima e seconda serata. Talk show cuciti addosso a una narrazione: la sinistra come argine morale, la destra come anomalia, chiunque fuori da quel recinto come “pericoloso”. 

E quando la sinistra non governava? Bastava la leva culturale. Rai3 rimaneva presidio stabile, i telegiornali mantenevano direttori vicini al centrosinistra, i programmi di approfondimento continuavano a filtrare il dibattito secondo la lente “progressista”. 

Gli anni chiave

Tre stagioni segnano la costruzione di questa egemonia:
1996-2001: l’Ulivo inaugura la stagione delle nomine sistematiche, sia nell’università che in televisione.
2006-2008: il secondo governo Prodi riprende in mano il timone e consolida posizioni, soprattutto nella RAI. 

2013-2018: i governi Letta, Renzi e Gentiloni, in piena epoca di crisi della politica tradizionale, mantengono la rete accademico-mediatica ormai collaudata. 

Sono anni in cui la sinistra perde consenso nelle urne, ma conquista casematte culturali destinate a durare molto più a lungo dei governi. 

Meccanismo di cooptazione

La strategia non era complessa, ma implacabile:
Università: concorsi pilotati, nepotismo mascherato, filiere di allievi cresciuti all’ombra dei baroni. 

Televisione: nomine fiduciarie, spartizione dei vertici, palinsesti allineati. 

Così, mentre la politica litigava nelle aule parlamentari, la sinistra costruiva una rete invisibile, capace di formare studenti e plasmare spettatori. Due canali paralleli, ma con lo stesso esito: generare consenso culturale e delegittimare le idee alternative. 

La lunga coda dell’egemonia

Oggi, quando si parla di “pensiero unico”, non si fa retorica. È il frutto di quelle stagioni. Non è un caso se le università italiane restano dominate da un orientamento progressista che filtra la ricerca e condiziona le carriere. 

Non è un caso se la televisione pubblica - pur con governi di colore diverso - mantiene un DNA di sinistra in molte delle sue produzioni culturali. 

La destra, al potere più volte negli ultimi trent’anni, non ha mai avuto la stessa perizia nel colonizzare l’accademia e i media. Ha preferito la battaglia immediata, senza capire che la partita vera si giocava altrove. 

In sintesi

Mentre l’Italia cambiava governi, i posti veri venivano occupati in silenzio. Cattedre, concorsi, palinsesti: così la sinistra ha costruito la sua egemonia, molto più resistente dei suoi cicli di governo. 

La politica si vince nelle urne, ma la cultura si vince con la permanenza: un docente che resta quarant’anni, un conduttore che plasma generazioni di spettatori. 

È in queste posizioni che si decide cosa diventa senso comune e cosa invece viene bollato come estremismo. 

Il resto è cronaca. 
Questa è stata strategia.  


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